La polveriera asiatica

La polveriera asiatica
Tonino D’Orazio. 11 maggio 2015.
Il XXImo secolo viene preannunciato come quello cinese. Intanto la Cina (che nessuno cita più come comunista) non si fida degli USA e viceversa. Ma nell’area nessuno si fida più di nessuno, eppure si tenta di convivere.
La Cina ha moltiplicato per tre le spese militari negli ultimi dieci anni. La Corea del Sud per due; il Vietnam per il 133%. L’India per più di un terzo. Il Giappone, sotto l’ombrello americano, rimane stabile. Pechino spende ufficialmente il 2,1 % del Pil, l’India il 2,4, la Corea del Sud il 2,6, gli Stati Uniti il 3,8.
Eppure, malgrado la pericolosità, la situazione non sembra quella della guerra fredda. Non vi è competizione di sistema tra Pechino e Washington. Sono tutti e due partigiani del liberismo economico, un po’ più statale il primo che il secondo, ma le loro economie, comprese le enormi riserve in dollari del primo, dipendono ormai l’una dall’altra. Due economie rivali il cui teatro principale è l’Asia.
Politicamente e storicamente bisogna risalire alla spartizione del mondo dell’accordo di Yalta, (1945) durante la 2° guerra mondiale, e dalla paura, in occidente e in Giappone, dell’avanzata del comunismo.
Anche in occidente vi fu per anni una rivalità tra Londra e Washington sulla questione coloniale tradizionale, propensa al mantenimento la prima (vedi il caos rimasto in Medio Oriente), contraria la seconda che preferisce quella economica.
Anche l’Unione Sovietica di Stalin ha problemi, intorno al 1962, di conflitto territoriale con la Cina, oggi risolti. Non sono risolti i problemi tra le due Coree quando nacquero, malgrado la sporca guerra, malgrado i bombardamenti americani (1953) a tappeto, al napalm appena inventato, dopo aver ridotto veramente in cenere gran parte delle città nord-coreane e le loro popolazioni civili (2.8 milioni di morti), e inizialmente (1950) anche quelle sud-coreane in gran parte nelle mani dei comunisti “invasori”. La minaccia dell’utilizzo della “nuova” e risolutiva bomba atomica, più volte programmata dal generale D. MacArthur, fu bloccata dai sovietici, dai cinesi con l’invasione della Corea del nord nella mischia, e dallo stesso presidente statunitense. L’ l’immagine mondiale di Nagasaki e Hiroshima era abbastanza deleteria. Nulla è dimenticato, nemmeno oggi.
La storia più impressionante fu la sconfitta americana in Vietnam, sufficientemente conosciuta ma ricostruita in malo modo dal cinema di Hollywood per i giovani. Guerra della quale non si sono mai “rimessi”. Altrove la tecnica fu quella di piazzare governi e presidenti fantocci dopo vari colpi di stato, ad esempio l’Indonesia o le Filippine. Ancora oggi la tecnica funzione nell’area e altrove.
Vi sono conflitti latenti, momentaneamente solo dimostrazioni di muscoli, per il possesso (non risolto da Yalta) di piccole ma strategiche isole, tra Cina e Filippine (isole Spratley e Paracel); tra Cina e Giappone; tra Cina e Vietnam (isole Paracel). Questi ultimi hanno oggi addirittura il sostegno americano (!!), soliti guerrafondai.
I conflitti sono pur sempre per il petrolio, per le aree di pesca e per la strategia militare.
Tutti sfidano tutti, il che si traduce in un aumento continuo delle spese militari. Le pedine dello scacchiere, occupate di volta in volta e militarizzate, sono le varie isole delle zone confinanti tra paesi in tutta l’area del Mare di Cina.
Le tensioni ci sono anche tra la Corea del Sud per le isole Takeshina (Giappone) e Dokdo (Sud Corea). Tra la Cina e il Giappone, sempre per le isole Senkake/Diaoyu, vendute da un ricco privato giapponese al proprio paese. La Cina ha decretato una zona “no fly” nelle vicinanze. Le due marine militari si sfidano nelle vicinanze con il rischio che una eventuale collisione potrebbe comportare. Ma la Cina ormai non considera più il Giappone come potenza, se non come una succursale degli Stati Uniti e una potenza economica ormai in declino.
La guerra economica tra Cina e Usa si sviluppa anche sugli armamenti. La Cina ha appena speso per la “difesa” 134 miliardi di dollari, 2,8 volte quella del Giappone e 3,6 volte quella dell’India. Lo scarto con gli Usa rimane, ma si riduce, era da 1 a 20 nel 2.000, oggi è da 1 a 4.
La Cina investe 1/3 della sua valuta straniera in Buoni del Tesoro americano, ma è anche il primo esportatore in quel paese. Inoltre ha la più grande riserva d’oro del mondo che continua annualmente ad accrescere. Hanno i piedi in due staffe. La Cina si rifiuta di rispettare l’embargo verso l’Iran. E con la nuova posizione della Russia, a Obama non resta che toglierlo, e tentare di bloccare il flusso di petrolio verso l’industria cinese.
Nell’area Asia-Pacifico ormai la Cina, oltre a potenza economica, è potenza militare, nucleare e spaziale. Un paese competitivo pericoloso, che continua a non voler rivalutare lo yuan e a conquistare mercati, soprattutto con una vera egemonia in Africa e si affaccia in Europa e in Italia in particolare (vedi tra l’altro il porto del Pireo e la Pirelli). Una Cina che, insieme agli altri paesi del Brics sta fondando una nuova Banca Mondiale di Sviluppo, concorrente e alternativa del FMI. Gli americani aumentano il valore del dollaro per far pagare la differenza alle monete costrette a svalutare, diminuendone il potere d’acquisto e aumentandone l’indebitamento. Negli ultimi 12 mesi il biglietto verde si è apprezzato del 40% sul real brasiliano, del 60% sul rublo russo, del 22% sulla lira turca, del 15% sulla rupia indonesiana e il peso messicano, del 23% sullo zloty polacco. Marcato l’apprezzamento anche sulle divise di aree economiche più forti: un dollaro oggi, rispetto a un anno fa, vale il 15% in più di uno yen, il 12% in più di una sterlina e il 26% in più di un euro. Ma i cinesi possono utilizzare il dollaro stesso in loro possesso con i Bot americani.
Gli Usa spingono sempre più la cooperazione militare con Giappone, Sud Corea, Filippine e Vietnam, con il solito concetto di “accerchiamento” degli avversari. In questo senso va visto il forte riarmo di Taiwan del 2011 per spingere la Cina a spendere e rinnovare continuamente il suo arsenale militare.
Appare sulla scena anche l’India. Legata alla Cina nel Brics di libero scambio, rimane pur sempre un avversario politico ed economico. E’ un gigante mondiale di un miliardo di individui, in piena ascesa. E’ il primo importatore di armi al mondo. Potenza militare nucleare (150 bombe), in parte con reattori in buona riconversione civile, se non fosse nemica del Pakistan (a causa del conteso Kashmir) e dipendente ancora dalla Russia (80% del rifornimento militare), compresi una portaerei, un sommergibile atomico e più di un centinaio di aerei Mig. Nel 2013 ha speso 47,4 miliardi di dollari per la difesa, allargando piano piano la clientela. Nel 2020, con i 65 miliardi previsti diventerà il quarto paese a livello mondiale in armamenti, superando Francia, Gran Bretagna e Giappone. Con l’aiuto israeliano ha piazzato in orbita un satellite militare. Con l’aiuto cinese, ha inviato un satellite intorno a Marte con ottimo risultato nel settembre 2014. Con 1,3 milioni di soldati, uomini e donne, è numericamente il 3° esercito del mondo, dopo Cina e Usa.
Bisogna aggiungere che con questo ultimo nuovo governo il concetto ghandiano di “non allineamento” del paese sta scomparendo.
Ma l’amico più fedele per gli Usa, oltre alla Nuova Zelanda, è la cugina anglofona Australia, che si presenta come sceriffo aggiunto nell’area. Da qui al 2020, a Darwin (nord Australia) si stabilirà il 60% della flotta americana dell’Asia-Pacifico, e il 60% della forza aerea americana all’estero, compreso l’ambito spaziale, cibernetico e uno “scudo spaziale” anti-missili, tipo Polonia (prossimamente Ucraina e Lettonia). E’ l’accordo firmato dal pacificamente guerrafondaio Obama nel 2013 a Camberra. Sostituisce e rafforza il Patto del 1951 sottoscritto durante la guerra di Corea.
Gli altri punti forza sono a Singapore (Changi Est), in Tailandia (Korat), in India (Trivandium), in Filippine (Cubi-Point e Puerto Princesa), Corea del Sud (isola di Cheju), in Giappone (Okinwa con 9.000 militari), e altri aerodromi in Indonesia e in Malesia. Oltre alle svariate isole in loro possesso nel Pacifico, Guam in particolare.
A tutto questo si aggiunge la nuova visione politico-economica della Russia, spinta da UE e Usa verso l’est e l’Asia, con accordi energetici, militari e finanziari con gli altri due giganti del Brics, India e Cina. Si avvicinano agli accordi di “dedollarizzazione” anche Pakistan e Iran.
Insomma in tutta l’area, malgrado le provocazioni verbali e i nazionalismi montanti, cooperano tutti a livello economico, di ciberdifesa, di turismo e di cultura. La tematica di fondo è l’ambiguo concetto: contro “tutti i terrorismi”, non avendo sempre chiaro chi sono e chi ha deciso che lo siano.
Eppure sia le tematiche di “dedollarizzazione” che di anti-americanismo latente rendono tutta l’area (più della metà della popolazione mondiale) una vera polveriera.

Precedente Quale Resistenza. Quale 25 aprile. Successivo Ambigua manifestazione Ombrina